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Con il primo sopralluogo sono venuta a conoscenza di numerose latterie sociali sparse nel territorio di Varmo. Gradiscutta, Roveredo, Romans, Belgrado e Canussio ne possedevano una. Oggi restano gli stabili abbandonati e dismessi. Decisa a capire le cause di una distribuzione capillare di latterie sociali nel territorio, ho cercato, dapprima, di inserirle in un contesto storico.

La storia: da latteria turnaria a latteria sociale

La tradizione delle latterie turnarie era un tempo diffusa in tutto il Friuli; dal 1880, anno in cui viene istituzionalizzato il sistema delle latterie, ne sono nate a decine su tutto il territorio friulano.
Era un modo di gestione del latte economico e facile, adatto alla produzione casearia di piccola scala tipica del territorio friulano, con numerosi allevatori sparsi in ogni borgata. L’istituzione della latteria turnaria infatti ricalcava e formalizzava l’usanza antica di mettere insieme il latte di più famiglie e caseificare collettivamente. La lavorazione del latte avveniva a turno con i propri attrezzi. Attività, in quel caso, affidata completamente alle donne, così come il governo della stalla e del bestiame.
Nelle latterie turnarie il socio manteneva la proprietà del prodotto finale e lo commercializzava in proprio. La settimana era scandita attribuendo ciascuna giornata di lavorazione a un determinato socio in funzione della quantità di latte conferita. Coloro che portavano una quantità maggiore di latte avevano diritto a più giornate, magari stabilite in modo fisso sul calendario settimanale, gli altri le giornate di lavorazione rimanenti. Le forme una volta asciugate venivano ritirate dal socio che provvedeva a stagionarle presso la propria struttura e a commercializzarle.
A partire dagli anni ’60, con la possibilità di commercializzare il prodotto anche al di fuori della propria area di competenza, borgata o comune, si è avviato il processo di trasformazione da latteria turnaria a latteria sociale: il socio, anziché ritirare il prodotto di sua pertinenza, riceveva un compenso in denaro proporzionale al latte conferito o al prodotto lasciato al casaro per la commercializzazione.
Il sistema basato sul cooperativismo ha iniziato a subire un progressivo abbandono dal dopoguerra per poi subire un definitivo colpo dopo il terremoto del 1976 quando la ricostruzione delle strutture stesse ha portato alla chiusura di molte latterie e al concentramento degli allevamenti. Agli inizi degli anni ‘70 esisteva ancora una miriade di piccoli caseifici, distanti anche solo un paio di chilometri l’uno dall’altro.
Le poche latterie rimaste si sono mantenute ancora per poche decine di anni e poi hanno iniziato a chiudere per la progressiva scomparsa dei piccoli allevamenti familiari e per una politica agroalimentare che spingeva i produttori a riunirsi o aderire a consorzi di grosse dimensioni per ottenere maggiore penetrazione nel mercato della grande distribuzione che in quegli anni si stava affermando.

 

Per approfondire circa il funzionamento e la progressiva chiusura delle latterie sociali, in vista del secondo sopralluogo, mi sono rivolta alla Pro Loco di Belgrado (soffermandomi, per l’appunto, sulla latteria sociale di Belgrado per il suo legame e vicinanza con l’area di progetto scelta). Un volontario mi ha subito messo in contatto con uno degli ultimi presidenti della latteria sociale di Belgrado, se non la “mente storica” del paese.

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Ex latteria sociale di Belgrado oggi

Intervista a Nicola Gregato: uno degli ultimi presidenti della latteria sociale di Belgrado

Com’è cambiato l’allevamento negli ultimi 50 anni?
Negli ultimi 50 anni è cambiato tutto. Fino alla metà degli anni ‘60 le stalle erano di piccole dimensioni e adiacenti all’abitazione con una insalubrità diffusa; le deiezioni non prevedevano sistemi fognari adeguati; le vacche erano lasciate libere di pascolare nei terreni lasciati a prato. A partire dagli anni ‘70 hanno cominciato a costruire stalle più moderne con 30-40 unità di bestiame. I cambiamenti erano relativi alla situazione igienica e alla gestione del bestiame (con l’utilizzo dei trattori le vacche non servivano più come forza lavoro nei campi). Negli anni ‘80 sono comparse le prime stalle meccanizzate (mangiatoie e abbeveratoi meccanizzati, mungitura meccanizzata) insieme ai primi mangimi, che hanno modificato l’alimentazione degli animali. Negli anni ‘90 la stalla è stata rivoluzionata grazie all’introduzione di macchinari con software per il controllo di ogni vacca, ottimizzando la produzione fino al raggiungimento di 35-40 litri di latte al giorno pro capo, risultato prima di allora impensabile. Negli anni 2000 c’è stato un ulteriore passo avanti: le stalle cominciano ad avere degli spazi aperti, ponendo sempre più spesso in primo piano la salute e il benessere dell’animale. Fanno la comparsa nelle stalle: macchinari per pulire le vacche, strumenti per innaffiarle nei periodi di calura estiva e sistemi di ventilazione forzata. Se le vacche negli anni ‘60 producevano 10-15 litri di latte al giorno, oggi in media ne producono 40-50 litri al giorno; negli anni ‘60 le vacche, oltre che per la produzione del latte, erano importanti anche per far nascere i vitelli, che potevano portare alla produzione di carne per i maschi o alla vendita per le femmine; in ogni caso la nascita di un vitello era vista come una benedizione. Oggi, invece, si preferisce una nascita controllata. Se nascono vitelli maschi vengono venduti a un prezzo irrisorio (intorno ai 150 €). Per fare un paragone, fino agli anni ‘70 con la vendita di una vacca si acquistava un campo agricolo friulano (di circa 3500 mq), ora una vacca costa 700 € e un campo agricolo 12000-15000 €.

Come funzionavano le latterie sociali?
Il funzionamento delle latterie sociali era abbastanza semplice ed elementare: i produttori di latte agli inizi del ‘900, grazie alla coordinazione e all’aiuto del geometra di una famiglia benestante del paese, si sono autotassati nella vendita del latte per riuscire a costituire una latteria sociale, ed è su quest’ultima parola che si basa il funzionamento: tutti i soci portavano il latte di loro produzione in latteria e ricevevano un compenso in denaro proporzionale alla quantità di latte portato. Il casaro produceva principalmente formaggio, burro e ricotta, quasi mai latte o yogurt. Questo perché vendere formaggio e burro era molto più redditizio; in particolare, producevano il Montasio, un tipico formaggio del Friuli e la nostra zona  era una delle più pregiate. Prima della realizzazione della latteria sociale il latte veniva lavorato “in famiglia” ma spesso il formaggio o il burro risultavano di scarsa qualità e prodotti in poche quantità. Le spese della latteria (pagare il casaro, i dipendenti e acquistare i macchinari) erano completamente sostenute dai soci. Anche la gestione era totalmente demandata ai soci: dalle elezioni del presidente all’assunzione del casaro.

Perché sono state chiuse?
Molte latterie sociali sono entrate in crisi negli anni ‘70 quando si è imposta la grande distribuzione e tutte le stalle medio-piccole hanno chiuso. Fino alla metà del secolo scorso ogni famiglia aveva 1 o 2 vacche e il latte che produceva veniva portato nella latteria sociale più vicina. Le stalle più grandi avevano una decina di vacche ma erano per lo più di 3-4 famiglie benestanti.

Con il contesto zootecnico attuale potrebbero funzionare?
Non credo, anche se principalmente importato, il latte non manca. Qui intorno ci sono solamente due stalle medio-grandi che preferiscono, però, esportare il latte al di fuori del comune di Varmo. Un allevamento ha 400 vacche da latte e altre 400 fra gravide, vacche per l’allattamento dei vitelli ecc. (a livello regionale è un’eccellenza per la sua gestione ed è fra i più grandi). L’altro allevamento ha 180 vacche da latte e 150 fra gravide, vacche per l’allattamento dei vitelli ecc. Il primo si trova a Romans, il secondo a Cornazzai. Entrambi gli allevamenti non prevedono il pascolo all’aperto anche se le stalle dispongono di spazi molto ampi. Esistono ancora un paio di piccole stalle che sono, però, ad uso familiare.
Forse l’unica soluzione sarebbe rendere la latteria sociale una “latteria di nicchia”, con una produzione di qualità, costituita da prodotti unici e non facilmente reperibili nel mercato di massa.

 

Ex latteria sociale di Belgrado: luogo di memoria o di produzione?

Le latterie sociali, oltre ad essere state degli opifici, erano soprattutto un elemento importante della società rurale. Con la chiusura delle stalle si è perso un mondo particolare fatto di ritmi naturali, di reciproco aiuto, di veterinari; le latterie hanno rappresentato un punto di aggregazione determinante per la crescita sociale e culturale dei paesi: con le loro cariche hanno insegnato il rispetto dei ruoli: nei loro edifici, alla sera, si tenevano i corsi delle cattedre ambulanti di agricoltura, si discutevano i problemi con i rappresentanti delle istituzioni.

Quello che resta oggi è un territorio con la presenza di edifici che hanno perso la loro originaria funzionalità ma che conservano la memoria di un tempo. Manufatti privi di pregio architettonico sono stati, per lungo tempo, parte di una società rurale, legati da un legame indissolubile. Monito di una cultura e di una realtà passata, le latterie sociali alla stregua delle rovine si inseriscono in un paesaggio con cui instaurano un rapporto inscindibile.

Le rovine, restaurate o meno, sono al tempo stesso siti e monumenti, una sorta di sintesi o di compromesso; sono oggetto di informazioni documentatissime e si inscrivono in uno scenario che da esse non è dissociabile; per cui parados­salmente, quando le rovine costituiscono ufficialmente un punto di arrivo che risponde all’attesa dei visitatori, sono anche il più delle volte un punto di vista dal quale si scoprono un altro paesaggio, altri spettacoli.

(Marc Augé, Rovine e macerie)

La mancanza del ruolo che aveva la rovina nel suo momento attivo fa sentire agli abitanti un senso di appartenenza alla storia culturale, alle proprie radici, che resta vivido nella memoria.

E se alla memoria di antiche pratiche se ne riproponessero delle nuove, attualizzandole al contesto economico, culturale e sociale odierno?

A partire da un recupero funzionale dell’ ex latteria sociale di Belgrado, l’intento è quello di rendere l’edificio il luogo di trasformazione del formaggio come in passato, proponendo prodotti di una qualità irripetibile che possano essere competitivi. Lo stabile di un tempo offrirà ai cittadini e non solo la possibilità di acquistare prodotti della tradizione friulana, come il Montasio, il Latteria, il Formaggio del Cit (che deriva, per l’appunto, dal recupero dei formaggi Latteria e Montasio non destinati alla stagionatura). L’innovazione sta nel riportare alla contemporaneità un edificio abbandonato, punto di riferimento per le comunità locali, che produca prodotti unici e appartenenti alla tradizione, non facilmente reperibili nel mercato tradizionale, attraverso l’inserimento in un’ottica di filiera corta che permetta di rendere attuabile il progetto. Il latte a km 0 sarà portato esclusivamente dai soci degli allevamenti limitrofi e verrà doppiamente utilizzato: ci saranno dei distributori di latte che permettono di prendere il latte alla spina, riducendo i costi di produzione e, quindi, di acquisto; il latte avanzato verrà utilizzato per fare il formaggio. La vendita dei prodotti finiti potrà avvenire direttamente all’interno della latteria sociale o la stessa si occuperà di rifornire i supermercati locali. Inoltre, per non dimenticare il ruolo comunitario che queste latterie rivestivano, all’edificio si affiancherà uno spazio all’aperto dove, a seconda delle necessità, i volontari potranno realizzare degli allestimenti temporanei che abbiano come obiettivo iniziale la promozione dei prodotti della latteria sociale e che diventino uno spunto per creare nuovi luoghi dello “stare insieme”, dove gli abitanti abbiano la possibilità di riappropriarsi della coscienza del territorio e di riacquistare una nuova consapevolezza dell’abitare. Uno spazio, quindi, funzionale alla latteria e che permetta, attraverso la partecipazione degli abitanti, di creare cittadinanza.

 

LATT SOC

Latteria sociale di Belgrado: ipotesi di allestimento temporaneo

Nicole Sabbadin